Studi demo-antropologici e musicologici dell’appennino centrale

Il centro-Italia si è storicamente costituito come un serbatoio di rilievo negli studi demo-antropologici italiani.

Dalle ricerche di D. Carpitella sul repertorio orale della Majella (Raccolta 129 del CNSMP, 1970) fino alle tappe maceratesi del celebre viaggio in Italia di Alan Lomax (Fondo n. 24Q CNSMP, RAI-RC) passando per gli studi di R. Leidi sul repertorio musicale dell’Alto Vomano (Leidi, 1991) e le campagne umbre del 1956 di D. Carpitella e T. Seppilli (P.G. Arcangeli e V. Paparelli, 2013), le zone rurali e montane dell’appennino centrale sono state oggetto di studi demo-etno antropologici e musicologici di notevole rilievo.

La zona del Piceno, nonostante la centralità geografica (asse adriatico nord-sud e asse salario est-ovest) e quella culturale (dalla civiltà Picena fino ai fermenti artistico-filosofici dell’alto medioevo e del Rinascimento), è stata raramente coinvolta dai percorsi di ricerca sul campo. Solo alcune felici eccezioni rappresentate da ricercatori (D. Toccaceli, P. Arcangeli, P. Gala, etc.) e documentatori informali hanno permesso che alcuni frammenti di quell’immenso repertorio giungessero fino ad oggi.

Tale testimonianza diventa un anello di congiunzione con la ricerca iniziata nel 2013 da Massimiliano Di Carlo, partendo dalla frazione Piane di Morro, comune di Folignano (AP). Il silenzio della ricerca accademica e la mancata attenzione dei circuiti folk e di riproposta, non hanno minacciato l’esistenza stessa delle condizioni materiali e immateriali del tessuto culturale spontaneo, il quale è rimasto vivo, seppure nascosto in ambiti circoscritti spesso sul piano familiare.

La ricerca sulle tradizioni orali del Piceno nasce da una relazione viva basata sul reciproco scambio di saperi e conoscenze tra il ricercatore e i portatori del patrimonio tradizionale. Muove i primi passi dal rapporto (in prima battuta familiare e amicale) con quelli che B. Bartok definisce «alberi di canto» (1905). Straordinari esecutori del repertorio agro-pastorale piceno, gli anziani provenienti perlopiù da zone dell’entroterra e legati al contesto rurale, rappresentano un archivio vivente di testimonianze musicali e coreutiche del contesto culturale d’origine. Dal mutuo scambio con questi si sviluppa un percorso che servendosi degli strumenti della ricerca demo-etno-antropoligica innesca un processo di riattivazione di pratiche musicali ed etno-coreutico spontanee.

La ricerca, tutt’ora in corso, si sviluppa all’interno di un quadro tracciato temporalmente dalle ricorrenze del calendario liturgico e festivo (la festa del Monte dell’Ascenzione, il pellegrinaggio a San Gabriele di Colledara, i carnevali storici nel Piceno, questue di Sant’antonio, pasquelle e del periodo pasquale, etc.) e spazialmente dai percorsi tracciati dalle reti lavorative e commerciali tradizionali.

Aspetti fondanti per la comprensione della cultura di un’area di confine, i flussi di scambio costituiti dagli assi commerciali montagna – città e tra zone rurali, sono fonte di contatto e sintesi tra culture diverse. In particolare l’asse Valle Castellana – Ascoli Piceno, per quanto riguarda lo scambio di legname e alimenti (rurale – città); Cerqueto di Fano Adriano – Arquata del Tronto per le rotte dei cardatori di lana; Force – Tossicia (rurale – rurale) per quelle dei ramai, luoghi dove è ancora custodito il Bakkajamento, un gergo di lavoro tuttora praticato. Costitutivi anche la rotta Piceno – Foggia e Piceno – Roma per quanto riguarda le transumanze e i flussi migratori del dopoguerra, che contribuiscono alla messa a fuoco della genesi di echi ancora presenti nel contesto culturale locale.

Il denso ed eterogeneo repertorio dei canti a distesa legati ai lavori agricoli, sono documentati alla luce della meticolosità di esecuzione connessa al mestiere/attività. Tra questi hanno particolare centralità i canti a batocco, i pataluocche, i canti all’arquatana, i canti della cesa, quelli alla sciabbica, alla romana, etc.

Oltre ai canti a distesa di lavoro sono presenti anche stornelli cantati in forma fissa e in forma improvvisata. Il Piceno – al pari di molte altre zone dell’Italia centrale – è stato storicamente sede di poeti improvvisatori, naturali prosecutori della tradizione antica dell’improvvisazione in terzina e ottava. I maestri di questo stile in ambito colto quali Cecco d’Ascoli, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso e molti altri poeti, furono influenzati e si alimentarono di una prassi esecutiva tradizionale già viva nella cultura agro-pastorale del tempo (cfr. Carlo Lozzi « Cecco d’Ascoli e la musa popolare »).

Altrettanto importante sono i repertori eseguiti con strumenti tradizionali, in particolare l’organetto, per il ballo e per il canto. Oltre ai ritmi più usuali di saltarello, polka, mazurka e valzer sono emersi dalla ricerca modalità di canto su ritmi non usuali (tempi dispari) che si alternano al ritmo a ballo del saltarello.

Questo tipo di canto prende nomi e assume profili ritmici e melodici diversi a seconda della località di origine: canto a serenata per Acquaratola, canto alla Norcina nei paesi limitrofi al Monte Ascenzione, canto alla Mondagnola a Roccafluvione, etc. questo particolare schema esecutivo custodisce gli echi delle forme di canto arcaico su zampogna e strumenti antichi.

Il suono dell’organetto è spesso accompagnato dal tamburello, strumento suonato principalmente dalle donne fino agli anni del dopoguerra, oggi suonato per lo più da uomini che accompagnano il saltarello con un ritmo molto serrato. I suonatori e le suonatrici finora trovati durante la ricerca provengono dalla valle dell’Aso, dalla vallata del Tronto (più precisamente nell’area geografica definita popolarmente come «la troia» ai confini tra Ripaberarda e Offida), da Amandola e Comunanza.

Ricca é anche l’organologia degli strumenti minori (nel senso di meno utilizzati o caduti in disuso), come la ciambrogna (scacciapensieri), lu rebbeco’ (il termine indica in alcune zone il tamburo a frizione, in altre uno strumento a tre corde simile ad un calascione), il calascione, il mandolino, il violino e le ciaramelle (ancora in uso nella Valle Siciliana dalla famiglia Balsami).

alberi di maggio